CATASTO ONCIARIO 1753 - TRASCRIZIONE A CURA DI DAVIDE BERRETTINI

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PREFAZIONE

NOTE DI ARALDICA
DI FABIO VALERIO MAIORANO

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I SIMBOLI DEL POTERE, NELLA TERRA DI CARAMANICO, AL TEMPO DEL CATASTO ONCIARIO DELL’ANNO 1753

IL PRINCIPE. Succeduto al fratello Luigi Matteo, morto senza prole il 22 luglio 1707, Giacomo Silvestro d’Aquino (21 dicembre 1690 – 2 aprile 1759), fu il VII principe di Caramanico1 ed alzò l’arme2 che i suoi avi avevano inquartato dal 1415 con le insegne di casa del Borgo, dopo il matrimonio di Francesco III (1393 ca. – 1458) con Giovannella, figlia di Cecco del Borgo, marchese di Pescara, conte di Monte Odorisio, Viceré e Capitano Generale: «inquartato, nel I e nel IV bandato [d'oro e di rosso] (d’Aquino); nel II e nel III troncato [d’argento e di rosso], al leone [dell’uno nell’altro] (del Borgo)»3, come compare nella (fig.1) rappresentata con i segni convenzionali degli stemmi realizzati in bianco e nero4. Per altri autori, invece, l’arma di Cecco del Borgo e della figlia Giovannella vanta gli smalti invertiti, vale a dire è connotata dal «troncato [di rosso e d’argento]5, al leone [dell’uno nell’altro]»: così compare negli affreschi quattrocenteschi della chiesa di Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino, e così è registrata nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana6, dove compare anche, «sul tutto, il sole d’oro di S. Tommaso» (fig.2). Scudo sannitico timbrato da corona di principe, formata da un cerchio [d’oro] ingemmato e sormontato da otto foglie di acanto – dette fioroni – di cui cinque visibili, sostenute da punte e alternate da otto perle, di cui quattro visibili; il tutto posto sotto il manto di velluto [rosso] foderato [di ermellino], bordato, cordonato e fioccato [d’oro], cimato dall’elmo del medesimo, in maestà, semiaperto, coronato e ornato di svolazzi [d’oro e di rosso]. Motto: BENE SCRIPSISTI DE ME THOMA, ‘TU HAI PARLATO BENE DI ME, TOMMASO’7.
1BONO G., Le ultime intestazioni feudali nei Cedolari degli Abruzzi, Napoli, Corpo della Nobiltà Italiana, 1991, p. 11, nota 13.
2Arme o arma è lo scudo con il complesso delle figure, emblemi, pezze araldiche, colori, ornamenti, contrassegni che distinguono e fanno riconoscere il personaggio che ne è titolare, ma anche un nucleo familiare, una nazione, una città, un territorio. E’ sinonimo di stemma, insegna, emblema, blasone, targa.
3DI CROLLALANZA G. B., Dizionario Storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, voll. 3, Pisa, presso la Direzione del Giornale Araldico, 1886-1890, I, p. 54; BONAZZI F., Famiglie nobili e titolate del napoletano, Napoli, Libreria Detken & Rocholl, 1902, p. 24; PADIGLIONE C., Trenta Centurie di Armi Gentilizie, Napoli, Casa Editrice Ferdinando Bideri, 1914, p. 25; ELENCO STORICO DELLA NOBILTÀ ITALIANA, Roma, Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano di Malta, 1960, p. 22.
4Nell’araldica italiana i colori sono soltanto cinque: il rosso, l’azzurro, il verde, il porpora e il nero che si combinano con due metalli, l’oro e l’argento, e con le pellicce di ermellino e di vaio. Nel loro insieme, colori, metalli e pellicce sono detti smalti, le tinte che in araldica coprono ogni oggetto o figura: vd. VOLPICELLA L. Dizionario del linguaggio araldico italiano, Udine, Paolo Gaspari editore, 2008, p. 103 e pp. 302-303. Nelle stampe monocrome, per convenzione, gli smalti si rappresentano con questo sistema: oro, con una fitta trama di punti sul campo o sulla figura; argento, campo del tutto vuoto; rosso, con linee verticali; azzurro, con linee orizzontali; verde, con linee diagonali da sinistra in alto a destra in basso, nel verso della banda; porpora, con linee diagonali da destra in alto a sinistra in basso, nel verso della sbarra; nero, con un reticolo di linee verticali e orizzontali. La gran parte degli araldisti concorda nell’attribuire la diffusione di questo metodo grafico a padre Silvestro di Pietrasanta, il primo trattatista a servirsene nel suo famoso saggio di araldica Tesserae gentilitiae, stampato nel 1630; altri storici riferiscono invece che il Pietrasanta imitò il “tratteggio” da precedenti opere di noti autori (Marc Vulson de La Colombiere, Filippo l’Espinoy, Cristoforo de Buthens) i quali l’avevano appreso dal “vero inventore”, il tedesco Giacomo Franquart, autore di un saggio edito nel 1622: DI CROLLALANZA G., Enciclopedia Araldico-cavalleresca, Prontuario nobiliare, Rocca San Casciano, 1878 (rist. anast., Sala Bolognese, Forni, 1980), p. 591.
5Gli smalti sono specificati all’interno delle parentesi quadre perché, sebbene noti, non compaiono in quest’esemplare.
6Edizione XIV, vol. XV (1965-1968), pubblicato in Roma dal Collegio Araldico, pp. 59-60.
7La frase sarebbe stata estrapolata dal dialogo che il Crocifisso avrebbe avuto con San Tommaso d’Aquino: «Bene scripsisti de me, Thoma; quam ergo mercedem recipies?», ‘Tommaso, tu hai scritto bene di me, che ricompensa vuoi?’; e il santo avrebbe risposto: «Non aliam nisi te», ‘Niente altro che te, Signore’.

Giacomo Silvestro sposò nel 1725 Teresa dal Verme (15 ottobre 1707 – 16 aprile 1751), contessa del Sacro Romano Impero, figlia di Giacomo, conte di Sanguinetto e Bobbio, e di Vittoria Margherita Cusani dei marchesi di Chignolo.

L’ARCIVESCOVO. In quegli stessi anni l’Arcidiocesi di Chieti, che da tempo immemore comprende nei suoi confini il territorio di Caramanico, era governata da mons. Michele (de) Palma, patrizio di Nola e dottore in utroque iure8 chiamato dal pontefice Clemente XII, nel 1737, alla guida dell’episcopio di Chieti che resse per 18 anni, finché la morte non lo raggiunse il 23 marzo1755. E’ il 25° arcivescovo della cronotassi teatina dal 1526, anni in cui papa Clemente VII elevò questa diocesi alla dignità arcivescovile e metropolita.

Se ne conosce l’insegna personale, riprodotta nell’opera di Gaetano Meaolo9: «troncato10 dalla fascia in divisa11 [d’oro], nel I [d’argento] al ramo di palma [di verde] accostato da due rose [di rosso], nel II bandato12 [d’oro e d’azzurro]»13. Da notare che lo scudo, di forma ovale e accartocciato14, mostra gli ornamenti esteriori di vescovo – galero [di verde]15 con dodici nappe [dello stesso], sei per parte pendenti su tre ordini (1, 2, 3) – anziché le canoniche venti nappe che attengono agli arcivescovi (fig.3). Altri araldisti, invece, attribuiscono al casato nolano dei (de) Palma uno stemma «bandato [d’oro e d’azzurro], al capo16 [d’argento; alias: d’azzurro], caricato di un ramo di palma [di verde] accostato da due rose [di rosso]»17 (fig.4).
8Tradotta alla lettera, questa locuzione latina significa “nell’uno e nell’altro Diritto”; in passato, se ne potevano fregiare i dottori laureati in Diritto Civile e in Diritto Canonico.
9Cfr. I vescovi di Chieti e i loro tempi, Vasto, Editrice Il Nuovo, 1996, p. 195.
10Troncato è lo scudo diviso in due parti uguali da una linea orizzontale: DI MONTAUTO F., Manuale di araldica, Firenze, Edizioni Polistampa, 1999, p. 89.
11Si dicono in divisa, o diminuite, la fascia e la banda di larghezza minore rispetto alla misura normale, cioè quando sono ristrette della metà o più raramente anche di due terzi: ivi, p. 69; VOLPICELLA, Dizionario…, cit., p. 140, ad vocem: divisa.
12Bandato è lo scudo ricoperto di bande alternate, le une di metallo e le altre di colore, di solito nel numero di sei: DI MONTAUTO F., Manuale…, cit., p. 59.
13DI CROLLALANZA G. B., Dizionario…, cit., II, p. 262.
14E’ lo «scudo circondato di ricci e volute di forme fantastiche e capricciose che gli italiani del sec. XVI e del susseguente preferirono a qualunque altro. Si può vedere sulla maggior parte dei monumenti e sepolcri italiani (…) perché adatto ad armonizzare coi fregi e cogli ornati dell’architettura. V’ha chi disse essere proprio di notari, giudici, magistrati e sacerdoti, pretendendo che quei cartocci rappresentino carte o pergamene arrotolate»: DI CROLLALANZA G., Enciclopedia…, cit., p. 13.
15Nella chiesa cattolica, questo termine indica un grande cappello prelatizio a larghe falde, munito di cordone che funge da soggolo e termina in un determinato numero di nappe cadenti su entrambi i lati. Si pone al di sopra dello stemma che, per questo, si dice “timbrato”. Il galero di colore verde è attributo dei vescovi, degli arcivescovi e dei patriarchi; per i cardinali è di color porpora mentre il colore nero è riservato agli abati e ai “prelati minori”. Differente è anche il numero delle nappe: dodici (sei per parte su tre ordini, 1. 2. 3) per i vescovi e gli abati; venti (10 per parte su quattro ordini, 1. 2. 3. 4) per gli arcivescovi; trenta (15 per parte su cinque ordini, 1. 2. 3. 4. 5) per i cardinali e per i patriarchi. Secondo la tradizione comunemente accettata, fu papa Innocenzo IV (1243-1254) a concedere nel 1245 il cappello rosso ai cardinali, nel Concilio di Lione: HEIM B. B., L’Araldica nella Chiesa Cattolica. Origini, usi, legislazione, Città del Vaticano, Libreria editrice Vaticana, 2000, p. 68.
16Il capo occupa i 2/7 dello scudo, nella sua parte più alta: vd. DI MONTAUTO F., Manuale…, cit., p. 31.
17PADIGLIONE C., Trenta Centurie…, cit., p. 239; ELENCO STORICO…, cit., p. 379; AVELLA L., Casate presenti nella Città di Nola, Napoli, Istituto Grafico Editoriale Italiano, 2004, p. 52 e tav. X.

L’UNIVERSITAS. Lo stemma civico più antico della comunità di Caramanico è dipinto sulla pala dell’Immacolata con i santi Lorenzo e Antonio di Padova, nel secondo altare di sinistra della chiesa di Santa Maria Maggiore. Datata 1739, è opera del pittore bolognese Tarroni18, alias Tarboni, che del nome di battesimo ha rivelato la sola iniziale, D.: scudo sagomato, accartocciato, tenuto dall’angioletto: «[di rosso] al castello [d’argento], torricellato di tre pezzi, il centrale più alto, aperto [di nero], finestrato di due oculi [dello stesso], merlato alla ghibellina di sei pezzi», cimato dalla corona di principe e circondato dalla ghirlanda [d’oro] pendente dalla corona: cerchio [d’oro] ingemmato e sormontato da otto punte sostenenti altrettante perle, di cui cinque visibili (fig.5).
18Così nella scheda «Tarroni D. (1739) dipinto Immacolata con santi» in Inventario Informatizzato dei Beni Mobili dell’Arcidiocesi di Chieti-Vasto.

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INSEGNE ARALDICHE DI ALCUNI CASATI CENSITI NEL CATASTO 1753

Il paliotto dell’altare di Sant’Antonio abate, quarta cappella di destra della chiesa di Santa Maria Maggiore, è ornato dall’insegna di casa de Angelis che ne vantarono verosimilmente lo ius patronatus, il ‘diritto di patronato’: in stile barocco, di stucco, lo scudo è ovale, sagomato e accartocciato, «alla sciabola in sbarra accompagnata nel capo dalla cometa».

Giacinto Capograssi, gentiluomo di anni 50, con sua moglie Francesca Treccia, di anni 40, abita in casa palazziata in Parrocchia di San Nicola e possiede proprietà per once 275, 06. Figlio del nobile sulmonese Carlantonio Capograssi, Governatore di Caramanico nel 1687, e di Eleonora Maria Salerni (nata il 20 giugno 1660), Giacinto19 si fregiò dell’antico stemma che il miles Pietro, nominato nel 1313 Governatore di Sulmona, portò con sé da Salerno, seguito sei anni dopo da Andrea, eletto nel 1319 vescovo valvense20: «troncato, nel I d’azzurro al grifo d’oro uscente dalla partizione; nel II d’argento alle tre bande di rosso»21 (fig.6). Dalla relazione conclusiva dell’inventario catastale «oggi suddetto giorno de 13 settembre 1753 pubblicato a tenore del disposto nelle Reali istruzioni» si apprende che manca la firma di Giacinto Capograssi «perchè trapassato da questa a miglior vita prima l'ultimazione di questo Catasto».
19ANTINORI A. L., Annali degli Abruzzi e Corografia, voll. 42, ms. in Biblioteca Provinciale “Salvatori Tommasi” dell’Aquila, vol. XXIX, Caramanico, p. 32.
20MAIORANO F., Sulmona dei Nobili e degli Onorati. La storia, le famiglie, gli stemmi, Isola del Liri, Accademia degli Agghiacciati, Regione Abruzzo – Assessorato alla Cultura, Presidenza del Consiglio Comunale di Sulmona, 2007, p. 83.
21Ivi, p. 82.

Domenica Costa, di anni 82, vedova del quondam Domenico Salerni, abita con la figlia Liddia, di anni 60, «bizzoca»22, nella casa di proprietà sita nella parrocchia di San Nicola e possiede un patrimonio stimato in once 82, 24¼. Lo stemma di alleanza matrimoniale (Salerni-Costa) è sulla chiave di volta del palazzo – nell’attuale piazza Giuseppe Garibaldi – che Domenico Salerni fece ricostruire sulle macerie della casa palazziata distrutta dal terremoto d’inizio Settecento: incorniciato da una teoria di volute, lo scudo è ovale, sagomato, «alla controcotissa23 alzata, sostenente la volpe (?) rivoltata e corrente, accompagnata dal leone sostenuto dal monte di tre cime all’italiana movente dalla punta». Stemma timbrato da elmo di profilo pieno, chiuso e ornato di svolazzi; in basso, il bassorilievo mostra una maschera apotropaica24 (fig.7).

D’obbligo segnalare sia la variante del leone sostenuto dal monte, anziché il leone nascente dalla fascia in divisa (vale a dire la sola metà superiore del felino), sia l’anomalia delle insegne familiari invertite; infatti, se due stemmi “si fondono” per rappresentare un connubio matrimoniale, di solito l’insegna dell’uomo precede quella della donna; in questo caso, “il leone di Domenico Salerni” avrebbe dovuto occupare la parte superiore dello stemma.

Vedova di Domenico Antonio Ricci, Annagilda de Meis – di anni 38 – abita nella propria casa, sita nella parrocchia di Santa Maria, con la figlia Olimpia di anni 16, e con il figlio Giuseppe, tredicenne. Nella chiave di volta del portale della casa palazziata di via Vittorio Emanuele II, i Ricci fecero scolpire nella pietra lo scudo ovale e accartocciato, «al riccio passante sulla campagna» (fig.8), tipico esempio di stemma parlante25 databile al XVII secolo; non se ne conoscono gli smalti.
22Termine che indica una donna solitamente anziana e nubile, o vedova, che conduce vita devota e in gran parte dedita alle pratiche religiose. Con significato estensivo, sta per bacchettona, bigotta.
23E’ una sbarra di larghezza minore rispetto alla misura normale, di solito è la metà dell’ordinario. Se si guarda uno stemma, la sbarra attraversa lo scudo diagonalmente, da destra in alto a sinistra in basso; è il contrario della banda, che corre in diagonale da sinistra in alto a destra in basso.
24Dal greco αποτρέπειν, apotrépein, ‘allontanare’, l’aggettivo apotropaico è attributo di un oggetto o di una persona che allontana, scongiura o annulla gli influssi maligni. Per antica abitudine, la costruzione di una casa si ultimava ponendo, sull'architrave e sulla chiave di volta dell'arco, una maschera in pietra o in terracotta per tenere lontano il malocchio e gli spiriti maligni.
25Sono detti anche stemmi agalmonici, dal greco agalma, ‘immagine’, poiché contengono un’immagine che allude al nome del titolare, di una famiglia o di una città. Tra i più rappresentativi stemmi parlanti si segnalano i Colonna, i Pignatelli (con tre pentole), gli Scaligeri o Scala, i Monti.

Gennaro Salerni, gentiluomo di anni 42, abita nella casa palazziata in contrada (o parrocchia) di Santa Maria, con la moglie Girolama Marinelli, di 48 anni, con le figlie Camilla Giovanna, di 16 anni, e Angiola Catarina di 13 anni. Nel nucleo familiare convivono anche due fratelli di Gennaro, i sacerdoti don Francesco, 50 anni, e don Donato, 46 anni. Il suo patrimonio è stimato in 147, 29 once. E’ verosimile che Gennaro Salerni sia il titolare dello stemma «[di rosso], al leone nascente dalla fascia in divisa e accompagnato dal monte di tre cime all’italiana (1,2) movente dalla punta, [il tutto d’oro]»26 (fig.9)27 che in più esemplari si stagliano sul palazzo di famiglia: il primo impreziosisce la chiave di volta del portale dello stesso palazzo, in via Giuseppe Verdi: scudo ovale, accartocciato, timbrato da elmo chiuso, di profilo pieno, ornato di svolazzi; databile al XVI secolo, propone elementi di gusto baroccheggiante, dall’angelo serafino28 nella parte alta, alla testina di putto e alla ghirlanda in basso, fino alle ampie volute e alla coppia di figure femminili addossate allo scudo a mo’ di cariatidi; è coevo al caratteristico portale bugnato che proprio in quest’epoca comincia a proporre lo stemma inserito nella chiave di volta dell’arco, non più al di sotto della trabeazione o come elemento decorativo a sé stante, dunque mobile29 (fig.10). Il secondo, a presidio del cantonale tra via Giuseppe Verdi e vicolo del Colombo, è di pietra, ovale, accartocciato e incorniciato da una teoria di volute e riccioli (fig.11).
26Blasonatura alternativa è «[di rosso], alla fascia in divisa sostenente il leone nascente e accompagnata dal monte di tre cime all’italiana (1,2) movente dalla punta, [il tutto d’oro]». Entrambe le blasonature (termine araldico che sta per descrizione) sono mie.
27La Certificazione d’Arma è stata concessa al dott. Ernesto Salerni da S. E. Vicente de Cadenas y Vicent, Decano del Corpo di Cronisti Rey de Armas del Regno di Spagna, il 12 gennaio 2001, vistata dal Ministero di Giustizia il 15 gennaio 2001. Nello stesso anno, il citato blasone è stato riconosciuto agli attuali discendenti dalla Commissione Araldico-Genealogica dell’Associazione Nobiliare delle Province Napoletane del Corpo della Nobiltà Italiana, con il motto «DIGNITATEM SERBARE NECESSE» in lettere capitali nere sulla lista bifida d’oro: vd. ANNUARIO DELLA NOBILTÀ ITALIANA, a cura di A. BORELLA, nuova serie, anno XXXI, voll. 4, edizione monumentale per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Teglio, Casa Editrice S.A.G.I., 2010, IV, p. 1139; inoltre, vd. LIBRO D’ORO DELLA NOBILTÀ ITALIANA, edizione XXIII, vol. XXVIII, Roma, Collegio Araldico, 2005-2009, pp. 882-883.
28In araldica, gli angeli serafini si raffigurano con la testa di fanciullo paffutello e fiancheggiato da due piccole ali: DI CROLLALANZA G., Enciclopedia…, cit., p. 581.
29Uno stemma “gemello”, scolpito probabilmente dallo stesso artista, si può ammirare nel portale di palazzo Pietropaoli, in via Giovanni Quatrario n. 42 a Sulmona: vd. MAIORANO F., Sulmona dei Nobili…, cit., p. 223.

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LE ARMI DI FRANCESCO III D’AQUINO, SIGNORE DI CARAMANICO

Due blasoni di notevole valenza araldica testimoniano il dominio feudale che Francesco III d’Aquino (1393 ca. – 1458) esercitò sulla terra di Caramanico30. L’uno, scolpito in una targa di pietra, è incastonato nella torre campanaria di Santa Maria Maggiore che fece erigere nel 1432: «partito, nel I bandato [d'oro e di rosso] (d’Aquino); nel II [d’argento e di rosso], al leone [dell’uno nell’altro]», insegna di Giovannella del Borgo, sposata nel 1415. Scudo gotico antico, inclinato, timbrato da elmo a bigoncia, di tre quarti a destra31 , ornato di svolazzi; cimiero di testa e collo d’aquila accollato dalla lista con il motto, purtroppo illegibile. E’ affiancato a destra da un’altra targa di pietra, di dimensioni inferiori: scudo gotico antico, circoscritto dal compasso gotico32, «al leone uscente dallo scaglione» del quale s’ignora il titolare (fig.12).

L’altro stemma d’Aquino, probabile replica coeva, caratterizza la parete destra della chiesa di San Domenico: «partito, nel I bandato [d'oro e di rosso] (d’Aquino); nel II [d’argento e di rosso], al leone [dell’uno nell’altro]», insegna di Giovannella del Borgo. Scudo torneario con la tacca nel lato superiore, sagomato inclinato e timbrato da elmo a bigoncia, di tre quarti a destra, ornato di svolazzi; cimiero di testa e collo d’aquila accollato dalla lista con il motto, che non è più decifrabile, come la scritta incisa sulla cornice quadrata che delimita la targa, purtroppo con l’angolo destro mutilo (fig.13).
30Figlio di Giacomo (1370 ca. – 1423 ca.), Francesco III fu il VII conte di Loreto, II conte di Satriano, patrizio di Benevento, nobile di Taranto, Gran Siniscalco e Gran Camerario del Regno.
31E’ bene precisare che in araldica gli stemmi si leggono dalla parte di chi imbraccia lo scudo; di conseguenza, la destra e la sinistra risultano invertite per chi lo osserva ponendosi di fronte.
32Cornice poligonale o quadrata, mistilinea e con quattro lobi. Sinonimo di cornice quadrilobata.

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STEMMI DI CASATE BORGHESI E DI EMINENTI ECCLESIASTICI DISEGNATI SUI DOCUMENTI O SCOLPITI NELLA PIETRA

Il frontespizio del quinto Libro dei Battesimi, datato 1679 e custodito nell’archivio della chiesa di Santa Maria Maggiore, è ornato da tre stemmi ad inchiostro privi di riferimenti cromatici: in basso a sinistra c’è l’insegna dell’arcivescovo teatino Niccolò Radulovich (fig.14), al centro l’emblema araldico della chiesa e, a destra, lo stemma dell’abate Nicolantonio Salerni. Di famiglia originaria della Bosnia, Niccolò Radulovich (alias Radolowich)33 nacque a Polignano il 28 dicembre 1627 dal marchese Francesco e da Anna Vaaz. Ordinato sacerdote il 16 febbraio 1659, il 10 marzo successivo da papa Alessandro VII gli fu affidata la cura della cattedra teatina che mantenne per 43 anni (dal 1659 al 1702), l’arco di tempo più lungo di tutti i suoi colleghi34; in ogni caso, non dimorò mai a Chieti delegando ai vicari l’amministrazione dell’arcidiocesi e delle anime. Doctor in utroque iure, appena ventiduenne ricoprì la carica di governatore in alcune città dello Stato Pontificio e, in seguito, ebbe il prestigioso incarico di referendario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Benvoluto nella Curia romana per le sue indubbie doti, ottenne anche la nomina a Segretario della Sacra Congregazione per i Vescovi e i Regolari. Nel Concistoro del 14 novembre 1699, il pontefice Innocenzo XII lo elevò alla dignità cardinalizia con il titolo presbiterale di San Bartolomeo all'Isola; terminò la sua avventura terrena il 17 ottobre 1702 a Roma. In tutti i suoi numerosi incarichi, Niccolò Radulovich utilizzò sempre lo stesso stemma «[d’azzurro] alla fascia [d’oro]»35 (fig.15), per l’occasione ricostruito nel rispetto delle convenzioni araldiche e degli ornamenti esteriori che attengono alla dignità arcivescovile; tuttavia, è d’obbligo rilevare che l’insegna araldica disegnata sul Libro dei Battesimi del 1679, scudo ovale accartocciato, mostra la «fascia in divisa»36 e, in basso, una testina apotropaica.
33NOYA DI BITETTO E., Blasonario generale della Terra di Bari, Mola di Bari 1912 (ivi rist. anast., Sala Bolognese, Forni editore, 1981), p. 158.
34MEAOLO G., I vescovi…, cit., p. 195.
35NOYA DI BITETTO E., Blasonario…, cit., p. 158.
36Vd. supra, nota 11.

Di evidente impostazione barocca, dunque irrispettosa dei canoni della comunicazione araldica che ha privilegiato fin dalle origini la massima semplificazione figurativa e cromatica, si appalesa l’emblema della chiesa di Santa Maria Maggiore: «troncato, nel I al cielo (?) [d’oro e di verde], caricato della nuvola [di bianco] sostenuta dalla partizione e accompagnata nel capo dalla lista [dello stesso], con il motto HABENS VESTIGIUM QVASI HOMINIS in lettere capitali nere; nel II il mareggiato [d’azzurro e di verde]»37 (fig.16); è bene precisare, tuttavia, che gli smalti appaiono indefiniti, verosimilmente alterati dai naturali processi di degradazione ossidativa. Al di sopra dello scudo, che come i precedenti è ovale e accartocciato, si legge il motto DECVS COELI, ‘DECORO DEL CIELO’, in lettere capitali nere sulla lista bianca; in basso, la testa di un serafino.

A destra, infine, spicca l’insegna dell’abate Nicolantonio Salerni, nato il 3 maggio 1650 da Muzio e da una gentildonna di casa de Grandis. Scudo ovale, accartocciato, monocromo: «partito, nel I troncato dalla fascia in divisa:
a) una coppa (alias: una fontana) sormontata nel capo dalla stella (7);
b) mareggiato (de Grandis);
nel II al leone nascente dalla fascia in divisa e accompagnato dal monte di tre cime all’italiana moventi dalla punta (Salerni)». Da rilevare l’anomalia araldica degli emblemi invertiti, poiché per convenzione le targhe di “alleanza matrimoniale” mostrano per prima l’arma del marito seguita da quella della consorte38 (fig.17). Un altro esemplare dello stemma de Grandis è nella Cappella di Sant’Antonio Abate, l’ultima a sinistra della chiesa di Santa Maria Maggiore. Le tre insegne del Libro dei Battesimi, anno 1679, sono idealmente collegate tra di loro da un grande “arcobaleno” con quest’iscrizione, in lettere minuscole nere, che corre all’interno dell’arco: Una Fides, unus Baptisma, unus Deus, et Pater omnium, ‘Una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti’.
37Così è detto il campo o una partizione dello scudo che rappresenta il mare; gli smalti usuali sono l’azzurro o l’argento, talvolta il verde: DI MONTAUTO F., Manuale…, cit., p. 76.
38La targa di alleanza matrimoniale può presentare o due scudi accollati (cioè uno contiguo all’altro) o un solo scudo partito (…); si usavano molto nel ‘600 e nel ‘700 e se ne vedono ancora molti esemplari: ivi, p. 44.

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